nave scuola amerigo vespucci alla fonda

La nave scuola Amerigo Vespucci
alla fonda - 1965

 

 

agostino straulino sul Vespucci

Il Capitano di Corvetta Agostino Straulino

Dal punto di vista dei “pivoli”.

Gli occhiali sembravano fondi di bicchiere, ma Straulino non aveva bisogno di guardare il segnavento per sapere da dove venisse il vento e quale fosse la sua intensità. Lui, il Comandante, lo sentiva con il corpo, girando la testa e sentendolo sfiorare le sue orecchie.

Era nato a Lussinpiccolo, una delle tante isole, aspre, sassose e salate che dividono il golfo del Quarnaro, tra le coste dell’Istria e della Dalmazia; terra di gente semplice, povera e generosa; terra di marinai dove i ragazzi imparavano ad andar per mare come sul continente si imparava ad andare in bicicletta; quasi mai per divertimento, quasi sempre per aiutare la famiglia. E Straulino era stato uno di quei ragazzi; il mare era il suo elemento naturale, come il vento, ed aveva imparato a conoscerlo, a temerlo, a sfruttarlo, a cercarlo.

Ma noi, allievi della 1^ classe dell’Accademia Navale, i cosiddetti “pivoli”, imbarcati sull’Amerigo Vespucci per la campagna addestrativa del 1965, questo non lo sapevamo ancora; sapevamo soltanto che, in barca, aveva vinto campionati europei, mondiali ed Olimpiadi, ma la Vespucci non è una Stella o un 5.50; la Vespucci è un bastimento di 4000 tonnellate dove risalire il vento di bolina è come remare con una racchetta da tennis, dove la superficie totale delle vele è di quasi 3000 metri quadrati, dove per serrare il trevo di maestra, la vela più grande, servono 30 persone, dove… dove…
Pensavamo.

Ma quel signore che se ne stava immobile sul cassero girando solo la testa, non la pensava così ed alla fine della campagna ci saremmo accorti che aveva ragione lui.

Non si può dire che fosse un estroverso; con noi allievi parlava poco, ma ci ha insegnato di più lui che tutto un corpo docente, ma anche questo l’abbiamo capito dopo. Con l’andar dei giorni avevamo però ben presto compreso che con lui avremmo fatto qualsiasi cosa, perché il suo carisma veniva dall’essere  un tutt’uno con la nave, lui che sentiva la sua voce e capiva che cosa gli diceva; che sentiva il frangere delle onde ed il canto del vento e capiva dove doveva dirigere la prora e quali vele bisognava bordare o serrare; che per contrastare lo sbandamento della nave si sporgeva con quasi tutto il corpo dal banco di quarto, con la sua cerata gialla color canarino, come se fosse su una barca a vela di pochi metri.

Aveva anche delle debolezze, il Comandante, come quando, sia in uscita che al rientro in Mediterraneo, fece di tutto per passare Gibilterra a vela, ma il vento lo avevamo sempre sul naso e non ci fu niente da fare; la conosceva bene Gibilterra, il Comandante; durante la guerra aveva trascorso mesi nella stiva di un mercantile, l’Olterra, per andare ad attaccare “mignatte” sotto le carene delle navi inglesi. Questo sgarbo il vento non doveva proprio farglielo, ma non se la prese tanto perché conosceva il vento; però, quando al tramonto iniziammo l’attraversamento dello stretto e dalla rocca, a lampi di luce, arrivò il messaggio “what ship?” lui, il Comandante, fece rispondere “what rock?” e scivolammo lentamente nell’Atlantico.

Certo, se dovessimo misurare l’ammirazione che avevamo per lui con le ore di sonno che ci erano state concesse in tre mesi, avremmo dovuto odiarlo, ma tutte le ore perse non sono mai state ore perdute; come quando passammo a vela tra la Danimarca e la Svezia, otto ore di posto di manovra generale alla vela, dalle otto di sera alle quattro di mattina, con tutti gli uomini disponibili seduti in coperta, stesi lungo le cime per bracciare o imbrogliare rapidamente le vele se fosse stato necessario, perché si navigava in un budello dove ci passano a stento due navi, dove se esci dal canale navigabile rischi di andare ad arare gli innumerevoli bassi fondali che ci sono in zona, e non l’avresti fatto certo per seminare. E passammo a vela e non c’era nessuno che potesse vederci ed apprezzare, ma l’aveva fatto e l’aveva fatto anche per noi.

nave scuola amerigo vespucci a La Spezia

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Dalmazio per Straulino

e per tutti i Kon-Tiki

sulla Vespucci nel 1965.

 

 

 

 

 

agostino straulino

Agostino Straulino

vele strappate del Vespucci

Le vele strappate del Vespucci
a causa della tempesta - 1965

vele strappate del Vespucci

Ma il vento, che cosa ne pensava? Il vento, si sa, non è ne buono né cattivo; il vento è il vento e fa quello che vuole e non quello che vorremmo, e così può succedere che quando hai tutte le vele spiegate, quando gli alberetti si flettono e non vengono persi di vista un attimo dal nostromo, ecco che il vento rinforza ancora, più del previsto, più di quanto tutti i bollettini meteorologici avessero fatto sperare; rinforza tanto che non puoi mandare la gente a riva ed allora iniziano i fuochi d’artificio: scoppiano prima i velacci e poi le gabbie fisse e le volanti, la randa si apre, il trevo di maestra si imbroglia a fatica.

Durò due giorni il valzer, lassù nel Mare del Nord, ma imparammo più di quanto avremmo potuto imparare in un anno accademico. Ma anche questo l’abbiamo assimilato e capito dopo.
Allora fummo tenuti a stento dall’andare sull’alberata per sistemare le vele e facevamo fotografie, tranquilli perché sul cassero c’era lui, il Comandante, con i suoi fondi di bicchiere per occhiali, la sua cerata gialla, le sue poche parole, ma con il suo essere uomo di mare, con la bonaccia o con la buriana.


Grazie Comandante.

 

 

 

Per gentile concessione del Corso Kon-Tiki - Campagna Addestrativa 1965.

il Corso Kon Tiki Vespucci 1965